lunedì, dicembre 16, 2013

Il senno di poi.

Ci sono giornate che sanno di verità più di altre.
Per forza o per inerzia, ma sai che quei giorni sapranno di qualcosa di diverso.
Si torna all'Olimpico.
Si torna dopo 4 pareggi.
Si torna carichi di speranze e di paure.
Si torna col pensiero un po' al passato e un po' al futuro, sperando che quei 90 minuti di presente passino il più velocemente possibile e ci dicano da quale parte della linea del tempo vogliamo stare.

Si arriva con la prima verità, più che altro la conferma di una certezza: il cornetto con il borghetti è la morte sua. Che se uno non dovesse andare al lavoro sarebbe da farci colazione tutti i giorni. Che poi a pensarci, magari al lavoro aiuterebbe pure. Chissà. 

La seconda verità è che il Capitano è tornato. Seppur in panchina. Ma è tornato. E questo ci dà un po' di serenità in più. Non si sa per cosa. 
Per sola imposizione del numero 10.

La terza verità è che c'è sempre un filo che ti lega al passato, il nostro si chiama Dodò e quando prende palla ci riporta al pezzo di storia di quando abbiamo preso la metro in Sliding Doors. Lo stesso senso di fallimento. 

Ma è anche vero, e questa è la quarta, è che il passato è sempre bene averlo a portata di memoria, in modo da ricordarci dove non vogliamo tornare.

L'altra verità, e questa è la quinta, è che la Fiorentina è proprio una bella squadra. La migliore che ho visto all'Olimpico. L'anno scorso fu back to the future, tra il pallonetto di Montella e la Roma più Zemaniana (nel senso divertente del termine) che abbiamo visto. Quest'anno càpitano sul percorso di una Roma vogliosa di dire la propria e di dire che dal futuro c'è tornata, ha visto come sarà e forse sa un po' meglio come arrivarci. Ma loro sono bravi, bisogna dargliene atto.

E l'altra verità, ormai ho perso il conto, è che all'inizio è difficile capire di essere diversi, tanto che al gol di buonanima Maicon (il suo lato a trazione anteriore è rimasto in Brasile a tenere calda la fascia, anche se il fatto che la stia tenendo calda per Dani Alves anche in caso di catastrofe nuclerare sembra chiaro ai più tranne che a lui), la risposta di Vargas ci gela e riporta in quel limbo della X a cui qualcuno sembra già essersi abituato.

E invece ci sono altre due verità.
La prima è che, se ci credi che vuoi guardare avanti, non è poi così difficile. 
Basta muovere i passi sapendo di poter saltare l'avversario, sapendo che se tiri, tiri, tiri, per mera statistica sto pallone dovrà pur entrare.
La seconda è che a volte ritornano. Come Mattia Destro. Senza Destrite. 
Tornano, eh se tornano, nessuno come me oggi può dire che tornano.

Poi ci sarebbe l'unica verità che però ancora deve essere svelata, come i segreti di Fatima. Che magari se stai vincendo e mancano cinque minuti alla fine, tenere la palla verso il calcio d'angolo avversario aiuterebbe a mantenere il risultato e le nostre coronarie intatte. Dal vangelo secondo Francesco.

Ma la verità, forse l'unica è che le partite durano 90 minuti, poi l'arbitro fischia e le partite finiscono. E come finiscono dipendono solo da come hai giocato quei 90 minuti.
Fa molto Boskov, l'Ungaretti del calcio moderno, lo so, come affermazione, ma nel senso che la verità a volte è più semplice di quanto siamo in grado di complicarla per non sentirla. 

Ma ci saranno sempre altri 90 minuti da sudare. 
La strada è ancora bella lunga e del senno di poi son piene le fosse.
E dopo un sacco di poi, forse questo giro abbiamo avuto pure il senno.

 



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