martedì, dicembre 18, 2012

La tranquillità dell'immutabile

La prima cosa che ho risposto quando mi hanno chiesto "Niente commento?" è stata...."Ma che ti vuoi commentare?", partendo anche dal presupposto che gli ultimi 30 minuti io li ho solo immaginati.

Chievo - Roma. Il match delle invarianti:
  • Un campo di patate.
  • Un meteo di schifo.
  • Un risultato improbabile.

Con queste premesse si arriva  a Verona giusto per far scorta di Pandori in vista del Santo Natale, altrimenti davvero soldi buttati.

Da dire c'è davvero poco: abbiamo stentato a creare azioni pericolose, pressing alto solo per 15 minuti, attacco poco incisivo, i piedi storti di Bradley, pochi cross dal fondo e sempre i maledettissimi calci d'angolo col doppio tocco. Non che dall'altra parte si creasse granchè, Goicoechea e Sorrentino giocavano a battaglia navale in rete e i due giudici di porta si volevano aggregare per un tresettino estemporaneo.

Insomma, una noia mortale.  

Il primo tempo.

Il secondo uguale, credo. Che poi dici che uno vi grida che c'avete solo la nebbia, ci sarà pure una ragione, che dite? 

Magari un reclamino, mia cara Sky lo farei: con tutti i soldi che date alle squadre di serie A,  un palloncino arancione per la gente che è a casa potreste anche obbligarle ad usarlo, così, un consiglio per le prossime.

Che poi forse è meglio vivere nell'ignoranza ma quando non vedi la palla avanzare e non sai dov'è il tuo portiere, un minimo di tachicardia scatta, e la noia è meno noia.

Una partita da zero a zero, senza infamia e senza lode.

Ma dove non arriva la Roma, arriva il guardalinee. Cross di Rigoni per Pellissier, in netto fuorigioco, che supera Goicoechea e insacca, tranquillo tranquillo. 

C'era nebbia, non si poteva vedere, azzardano i commentatori, non potendo sentire gli insulti che in un attimo escono dalla mia bocca da giovane educanda. E che vuol dire? Allora potevamo mandare i guardalinee a casa, senza fargli prendere tutta l'umidità, no? Siete proprio senza cuore.

In sintesi, torniamo a Roma, sconfitti, con Castan squalificato e Marquinhos azzoppato. Il modo migliore per prepararsi all'arrivo del diavolo rossonero sabato sera.

Ma è, d'altronde, la tranquillità dell'immutabile: perchè, per quanto vuoi ritenerti una squadra matura, la paura ti attanaglia. Se vinci tre partite di seguito ti viene l'ansia da prestazione, la vertigine da altezza, la paura di deludere. E subito torni alla realtà. 
Nella giornata che ti poteva portare tra le grandi, decidi che vuoi essere una qualunque, troppo lontana dal fondo per aver paura di cadere ma neanche troppo vicina alla meta per doverci provare.
E torniamo a fare quello che sappiamo fare meglio: arrivare alla fontanella senza bere mai.

Daje su, ora siamo tornati alla realtà. Non fateci rimanere qui per tanto.

POST SCRIPTUM: Di questo week end salvo davvero poco, sicuramente non la Roma, mi pare ovvio da quanto esposto in precendenza.
Ma se vi dovessi raccontare quello che porterò nel cuore di questo fine settimana, non sarebbe il fuorigioco di Pellissier ma:

  • il volto di una bambina che la vita ha provato più di quello che doveva. Il suo viso gonfio dal cortisone, la sua mano deformata dalla flebo, la sua testa tonda senza capelli. Ma soprattutto quegli occhi comunque allegri e il suo sorriso mentre toglieva parrucca ed occhiali ad un ragazzo travestito e gli diceva ridendo "ecco, così sei quasi bello". E la tenerezza che è passata in quell'attimo che si poteva quasi toccare.
  • lo sguardo di chi nella vita ha perso tutto e si aggrappa a quel che può mentre cerca di mantenere una dignità anche dormendo in stazione. Che accetta la mano che gli tendi. Il cibo che gli offri. L'aiuto che tenti di dare. La sua riconoscenza. Un grazie sincero. Ti si imprime nell'anima ed è difficile da lasciar andare.
  • Guardare chi ti accompagna in tutto questo e osservare il meraviglioso cerchio che queste persone hanno formato. Con anni di ricordi e di avventure alle spalle, un affetto consolidato e quella voglia di cambiare il mondo, o quantomeno di provarci, che portano avanti assieme e uniti. E mentre cerchi di entrare in quel cerchio, combattuta tra la gioia di farne parte e la paura di non riuscirci, capisci che se ci sono persone così, questo mondo qualche speranza di farcela ce l'ha, Maya o non Maya.


1 commento:

CarloMusacchio ha detto...

E' uno sporco lavoro, ma qualcuno deve pur farlo.

Ogni tanto mi fisso a guardare le foto che ogni tanto pubblichi, scattate in posti dove il dolore gioca in casa. Ci trovo occhi che ridono, un abbraccio sincero - che vale più di un sacco di parole -,una complicità che esce dalla bidimensionalità dello schermo e diventa tangibile.

Credo che questo sia il mare, nel senso della differenza tra il dire e il fare. Tra un vorrei e un voglio. Tra un forse e un si. Mare solcato da capitani coraggiosi, che continuano a portare la propria barchetta di solidarietà in mezzo alle portaerei di indifferenza. Una navigazione silenziosa, ubriachi di Maalox per reprimere la gastrite. Capitano mio Capitano!